Testi


La metafora del tragitto

«Nell’Atene di oggi, i trasporti pubblici si chiamano metaphorai. Per andare al lavoro o rientrare a casa, si prende una “metafora” – un autobus o un treno. I racconti potrebbero portare anch’essi questo bel nome: ogni giorno, attraversano e organizzano dei luoghi; li selezionano e li collegano fra loro; ne fanno frasi e itinerari. Sono dunque percorsi di spazi».

Il concetto di metafora ha in sé il senso dell’attraversamento, dello spostamento semantico da un termine all’altro; questa definizione non vale solo in letteratura ma vira verso un campo che connette la lingua all’azione attraverso la focalizzazione di uno spazio come enunciato pratico del vissuto. La metafora, intesa come il mezzo con il quale si traghetta un significato da un luogo all’altro, può diventare il metro per tentare di misurare lo spostamento fisico di un oggetto e coglierne i cambiamenti dovuti all’attraversamento stesso.
Questo testo rappresenta dunque una piccola unità del processo che lega Bologna a Scicli per Crossing-over: l’opera di VVVB, gruppo artistico bolognese, è un segno-senso che accresce (o modifica) il suo valore attraverso vari passaggi; l’opera sbarca a Palermo e aggiunge un segno al suo senso, giunge a Caltanissetta e acquista un quid, arriva a Scicli e si mette a nudo. I vari passaggi (l’opera, il testo, la documentazione, il viaggio) si spogliano e si concedono ad ulteriori interpretazioni nell’esposizione. L’opera dal Titolo non previsto rappresenta il nostro mezzo di trasporto, la nostra metafora.
La funzione della figura retorica, stabilito il ruolo dell’opera di VVVB nel processo di una “storia esterna” che la comprende (Crossing-over), entra nello specifico delle trame che compongono “la storia interna” dell’opera stessa: il processo di costruzione dell’immagine viene traghettato dal verso al recto del foglio (o viceversa) e l’immagine stessa diventa ubiqua nel momento in cui si presenta contemporaneamente con due diverse formule comunicative. Il senso dell’immagine sembra avere la stessa radice ma è come se avvenisse uno spostamento “semantico” della forma per cui l’opera si può vedere da entrambi i lati. Il foro, che crea fisicamente il collegamento tra le due facce, è l’emblema simbolico di questa sintesi metaforica che attraversa luoghi ed unisce mittenti e destinatari.

Salvatore Davì







Le cose e le parole.
Una percezione non acquisita
di Salvatore Davì

Il codice linguistico è fatto di un sistema di segni che gli individui scelgono anzitutto per sé; attraverso questo dispositivo la rappresentazione diventa uno scarto del pensiero che si manifesta connettendosi o dissociandosi dalle cose. Tali segni sono stati imposti dall’esigenza di una comunicazione condivisa, ma ad ogni modo il senso delle parole e del linguaggio non può che appartenere alla rappresentazione di ciascuno e per quanto sia recepito e accolto da tutti non ha altra esistenza che nella produzione cognitiva dei singoli individui. Date queste condizioni è possibile che gli oggetti siano solo variazioni di significanti;
se si ribalta il meccanismo e ci si basa sulla percezione sensibile non c’è attività cognitiva che possa corrispondere fedelmente all’oggetto percepito. Prendere visione e prendere coscienza sono dunque operazioni di scarto che non coincidono, anzi spesso si annullano a vicenda; sono processi distinti che colmano due sfere del sapere che acquisiscono informazioni con processi diversi e per fini diversi. Da questo si evince che non c’è testo che possa esplicare ‘oggettivamente’ lo svolgersi di una esposizione ed anche quando si palesa una visione soggettiva essa si riduce ad un eccesso verbale di rappresentazione; il prodotto visivo dell’artista è già una reificazione del pensiero che agisce nel quotidiano ed è dunque un oggetto già toccato e già descritto in quanto già pensato.
Le mostre vengono descritte, sintetizzate e scolarizzate per vezzo, per la volontà di informare sui fatti, ma se si cominciassero a trattare come ragionamenti non acquisiti, si potrebbe usare la scrittura come buco nero del linguaggio, come percezione mancata e lo spazio espositivo diventerebbe un manque del pensiero, così come il testo critico si trasformerebbe in una sospensione della percezione.
In ultima istanza un testo critico dovrebbe piuttosto aspirare al sabotaggio del sense che di norma rassicura e accompagna l’osservatore; non dovrebbe descrivere le opere in mostra ma attraversarne lo spazio ed occuparne un luogo e forse è proprio in questa duplice azione che si può riscontrare una connessione tra opera d’arte e testo.






IN VOLO/A TERRA

L' idea che il mondo sia composto da elementi che, per loro natura, si trovano in opposizione, potremmo davvero lasciarcela alle spalle. Quell’approssimazione di lettura che ci fa intendere il pieno in contrasto col vuoto, così come il leggero e il grave, l’alto e il basso, appone una maschera di conflittualità sulle cose, favorendo in noi una visione dualistica della realtà. Sembrerebbe allora scontato, ad esempio, che la terra si contrapponga concettualmente al cielo e, di conseguenza, che anche il radicarsi alla terra e il volo vengano considerati comportamenti antitetici. Lo lasceremo credere a chi vuole.Un uccello per volare deve essere leggero. Eppure è un peso la sua figura impressa nella retina, è un solco nell’atmosfera. Un germoglio, per farsi strada nella terra, segue la via del cielo e dell’aria. E anche quando poi diventa pianta e albero, e affonda avide radici, ancora insegue la sua ascesa. Persino la quercia più secolare possiede estremità rarefatte. Volare o scavare è sempre in qualche modo incidere la materia, segnarla, informarla di volta in volta, quale che sia la sua apparente consistenza.

VVVB
14/12/2012







Non c'è spazio senza cose. E non c'è cosa che non sia in uno spazio. Poiché il mondo è stratificazione di oggetti, sensazioni, concetti, idee. Le interazioni tra oggetti creano il senso di "spazio". Allora esso diventa condizione necessaria affinché un oggetto esista, dal momento che ogni oggetto non può che essere in relazione con altri. Ma anche gli oggetti possono essere concetti e lo spazio può essere "cosa". Nel caso di una sedia in una stanza, l'oggetto di legno produce il concetto di sedia, e il concetto di spazio è tradotto in oggetto attraverso la presenza fisica di una stanza, fatta di mattoni e di cemento. E così la stanza è nella casa, la casa è nella campagna, la campagna è nel pianeta Terra e così via, per infiniti universi. La realtà è fatta di scatole cinesi, nelle quali oggetti e concetti coesistono e si divertono a scambiarsi di posto. Ma per molti "spazio" e "cose" sono parole come altre. Lo spazio diventa uno spazio qualunque, vuoto, da riempire con oggetti qualsiasi. Ma spazio-cose è un continuum, in cui un estremo crea l'altro come prolungamento di sé stesso. Gli oggetti nascono dallo spazio, nello spazio, per germinazione. 
Lo spazio nasce dagli oggetti e li avvolge. Ogni cosa vuole il suo spazio e solo apparentemente può sembrarne priva. Presto o tardi tutto si organizza secondo necessità.

VVVB
17\11\2012







DIMENTICATI A MEMORIA

martedì 13 dicembre 2011

Il mio gesto si perde nelle pieghe dell'agire. Sono l'agente (atmosferico), sono la pioggia, il Tempo. La necessità stessa che plasma le cose e le corrode. Un prato, un pezzo di terra, non sanno che farne delle mie parole. Serve il gesto, appunto. Ma questi non sono affatto materia inerte, non sono "cose" di cui disporre a piacimento, da decorare, orpelli. Sono di per sè presenze, il percepirle è la qualità stessa dell'esserci. Perciò pretendono rispetto. L'immagine non è mai soltanto figura, ma oggetto-pensiero. Non me ne vogliano i novecentisti! Dicono: "L'oggetto è solo quel che è." Ma cos'è l'essere? Privare, spogliare un oggetto o un'immagine della zavorra simbolica, morale, che la sua cultura (e la nostra memoria) gli impone, non è un'azione fine a sè stessa, o una ricerca della bellezza nell'autoreferenzialità. E' un'azione che serve invece a recuperare nell'immagine il Vuoto, il suo essere prima e al di là di ogni memoria o educazione, restituendola allo sguardo e alla coscienza sempre come fosse la prima volta. Come la sensazione sempre viva del nostro primo giorno nel Mondo. L'Arte si dimentica a memoria. E qui sta il senso della parola "originalità", che significa originarietà.
VVVB