Le cose e le parole


Le cose e le parole.
Una percezione non acquisita
di Salvatore Davì

Il codice linguistico è fatto di un sistema di segni che gli individui scelgono anzitutto per sé; attraverso questo dispositivo la rappresentazione diventa uno scarto del pensiero che si manifesta connettendosi o dissociandosi dalle cose. Tali segni sono stati imposti dall’esigenza di una comunicazione condivisa, ma ad ogni modo il senso delle parole e del linguaggio non può che appartenere alla rappresentazione di ciascuno e per quanto sia recepito e accolto da tutti non ha altra esistenza che nella produzione cognitiva dei singoli individui. Date queste condizioni è possibile che gli oggetti siano solo variazioni di significanti;
se si ribalta il meccanismo e ci si basa sulla percezione sensibile non c’è attività cognitiva che possa corrispondere fedelmente all’oggetto percepito. Prendere visione e prendere coscienza sono dunque operazioni di scarto che non coincidono, anzi spesso si annullano a vicenda; sono processi distinti che colmano due sfere del sapere che acquisiscono informazioni con processi diversi e per fini diversi. Da questo si evince che non c’è testo che possa esplicare ‘oggettivamente’ lo svolgersi di una esposizione ed anche quando si palesa una visione soggettiva essa si riduce ad un eccesso verbale di rappresentazione; il prodotto visivo dell’artista è già una reificazione del pensiero che agisce nel quotidiano ed è dunque un oggetto già toccato e già descritto in quanto già pensato.
Le mostre vengono descritte, sintetizzate e scolarizzate per vezzo, per la volontà di informare sui fatti, ma se si cominciassero a trattare come ragionamenti non acquisiti, si potrebbe usare la scrittura come buco nero del linguaggio, come percezione mancata e lo spazio espositivo diventerebbe un manque del pensiero, così come il testo critico si trasformerebbe in una sospensione della percezione.
In ultima istanza un testo critico dovrebbe piuttosto aspirare al sabotaggio del sense che di norma rassicura e accompagna l’osservatore; non dovrebbe descrivere le opere in mostra ma attraversarne lo spazio ed occuparne un luogo e forse è proprio in questa duplice azione che si può riscontrare una connessione tra opera d’arte e testo.